Préface au livre de Giovanni Dotoli Salah Stétié, le poète, la poésie 

Oggetto e soggetto di questa poderosa opera di studio e di informazione, davvero meticolosa e agguerrita, è un poeta non molto noto in Italia, presente invece con grande spicco nelle file della poesia francese attuale.
Dotoli, sul tema prescelto: la poesia di Salah Stétié, ha aperto l’obiettivo a trecentosessanta gradi che distingue i lavori di ricerca per le grandi occorrenze accademiche; ma lo ha fatto con intelligenza e adesione viva e insieme con accortezza, dando progressivamente credito alla creatività e alla sapienza del poeta libanese, usando in modo persuasivo le innumerevoli referenze critiche (della migliore critica) e quelle del poeta stesso nella sua interminabile riflessione, nonché, naturalmente, le sue proprie osservazioni.
D’altra parte provvedeva l’autore stesso a erigere e ad annullare il suo « caso » quando dalle citazioni dei suoi chiosatori che venivano riferite, confermava la sua azione effettiva, quella in cui i suoi lettori, ammirati, si incontrano concordi: una chiara liturgia verbale
che illumina le parole e le abilita da molto lontano a significare. A significare se stesse, la loro nascita, la loro antica invenzione. Non saprei dire se è stato ripristinato miticamente il rapporto tra la parola e la cosa significata. Questa è un’altra questione: ma forse non è così importante dal momento che la poesia di Salah Stétié non vive di correlazioni con gli accadimenti o con lo stato inerziale delle cose, e dunque tanto meno vive di funzioni ma è essa stessa azione creativa. Tutte le sue parole anzichè celebrare o commemorare fanno, esse stesse, esistere o attuano tanto il loro perchè quanto il loro splendore; e generano, sì, immagini e seducenti riti associativi e adagi e cantilene interne al liguaggio stesso, ci fanno assistere e partecipare al primario insorgere dello stato pitico (inesorabilmente mediterraneo), ma senza fini o programmi disegnativi.
Eppure questa festa gratuita, piena di autochiaroveggenza non è per nulla astratta. Non per effetto di partenogenesi verbale ma per cordiale espansività dell’epicentro emotivo che comanda la composizione, sotto specie di ritmo, poniamo, le poesie di Stétié enunciano un contenuto. E, sia subito chiaro, non è un contenuto tautologico o glossolalico, vale a dire non si vota alla celebrazione del suo stesso processo, ma accumula senso ed immagine, illumina la parola che li esprime, e dà loro risonanza e vigore: non di rado questo incremento di potenza si estende alla metrica, se vogliamo tenerla distinta dal ritmo come componente analitica nell’esame di stile e di retorica. Anche la metrica istituita, certuni dei metri tradizionali francesi, riceve una rigenerazione dalla vena fresca e tutto sommato casta del poeta libanese.

dotoliQuali sono i nodi di significazione, quale è il motivo del loro scorrimento o del loro indugio incantato? Sarebbe difficile enunciarli almeno quanto sarebbe difficile sorvolarli, a tal punto si immedesimano con la causa prima e intemporale della emotività poetica mediterranea: la bellezza, il suo linguaggio domestico e incontenibile: linguaggio, come è fatale domandarsi, assoluto o mediato? Per un poeta mediterraneo, appunto, inseparabile dalle sue ascendenze orfiche si tratta di un dilemma, anzi di una ambiguità irresolubile, per quanto in se stessa felice.
L’arte, disciplina e gioco, alimenta ciò che c’è di gioioso nel praticarla, ma non ignora, ne è conscia, che specie ha la sapienza depositata nell’oscuro, nel sottofondo.
L’arte, ripeto. E qui interviene per me un altro intrigante motivo di inchiesta: cioè la rispondenza tra la ligua atavica e quella usata e scelta. Stétié, ci dicono le biografie, è libanese di ascendenza araba. Il Libano appartiene da secoli alla regione mediterranea francofona. Viene da domandarsi quale passaggio è stato quello tra l’arabo e il francese nella primaria pulsione espressiva di un poeta di questa specie. Non credo ci sia da concedere troppo all’ipotesi della autotraduzione. Se non vado errato, l’autore di questo studio non la prende neppure in considerazione.
In realtà è impensabile che il linguaggio di Stétié giaccia e viva in seno a una lingua che anche solo in principio supponga un suo parallelo, una possibile equivalenza in un’altra.
In ogni caso il francese di Stétié è e non è il francese dei suoi contemporanei: al suo linguaggio poetico affluisce certo la lingua (francese) che lo ha formato e informato, ma la lingua che riceve pienamente, in toto, la sua creatività di scrittore non è il francese rigorosamente selezionato dalla diacronia nella massima parte dei suoi colleghi, bensì il francese nella totalità delle sue intemporali risorse, formalizzate o non, grammaticalizzate non compiutamente e dunque duttili agli estri e alle proteiformi esigenze di un ingegno di questo tipo, cioè mediterraneo.
Salah Stétié entra di proposito nell’orizzonte linguistico letterario francese ma il suo talento lo immerge nel crogiolo secolare delle poetiche a ravvivarne la temperatura.
Tutto quello che in fatto di autoreferenza e introspezione analitica e autodefinitoria, tutto quanto di induttivo e di pitico la poesia da Holderlin a oggi ha detto o tentato di dire si è riservato sul grande pellegrino Stétié e ha dato uno speciale piglio alle voci della sua accoglienza.
Di tutto questo sterminio di proposizioni trattengo due frasi semplici e illuminanti, anzi fondamentali: dove, esaurito il repertorio dei luoghi ricorrenti, scoccato verso il bersaglio della definizione ogni altro dardo, si dice « la poesia è una mancanza » (la poésie est en
manque, elle nait d’un manque). Questo è nella irrefutabilità del vissuto prima che nella opinabilità del pensato;e seguono dalle profondità novalisiane altre affermazioni irreversibili: « la poesia capta una particella di verità, è la realtà che coincide per un attimo con l’essenza ».

Si sarà, spero, compreso a un di presso in che territorio e in che alto livello si svolge il fervore speculativo e l’azione poetica di questo autore fecondo, venuto dall’oriente con ogni facoltà spirituale di ritorno ad animare il quadro attuale della poesia europea.

MARIO LUZI